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Sono uscita dall'ingranaggio

 Nel mio post di febbraio, in cui inveisco contro il capitalismo , ho ricevuto questo commento:  "difficile uscire dall'ingranaggio, ne facciamo parte e contribuiamo a oliarlo… e le giornate diventano uguali, fatte di impegni e di scadenze, scompaiono le stagioni, i profumi e la capacità di dare il vero valore alle cose importanti… …e l'ingranaggio continua a dettare le regole e le priorità…" Volevo farvi sapere che sono uscita dall'ingranaggio. Ho rassegnato le mie dimissioni a giugno, e me ne sono andata in pace. Ho realizzato che non voglio più lavorare da dipendente, e che non voglio che nella mia vita scompaiano le stagioni e i profumi. La decisione era già maturata dentro di me da un bel po' di tempo. Mi sentivo completamente esaurita ed alienata. E poi è arrivata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: un incidente di sicurezza sul lavoro. Non volevano che andassi al pronto soccorso, quando ci sono andata lo stesso, mi hanno bombardata di chiamate in

Satura - riflessioni sul capitalismo e la prigione del lavoro

 Il lavoro nobilita l'uomo. Me lo ripeto come un mantra ogni volta che passo giornate intere a pulire impianti industriali, a fare lavori di fatica, che stavano fuori dalle mie aspettative, ma che paradossalmente mi soddisfano molto di più del lavoro intellettuale che svolgo, che è spesso svalorizzato, e mi stanca di quella fatica che non mi soddisfa per niente. Tuttavia, le aspettative non nobilitano né l'uomo né lo spirito; il lavoro si. E ci rende liberi, giusto? Sto avendo una crisi nervosa alla settimana da circa 3-4 settimane. E continuo a esaurirmi. E così nello sconforto ho usato Google. La chiave di ricerca era "incapacità di lavorare sotto pressione". Che cosa, secondo voi, mi ha restituito come risultato della ricerca il magnifico motore di ricerca che ormai è indispensabile per esistere, lavorare, vivere? Mi ha restitutito articoli con suggerimenti per lavorare sotto pressione. E mi sono arrabbiata. E ho iniziato a scrivere questo post. Io non sono capace

Combattere il patriarcato

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  "combattere" e "sconfiggere" sono i termini con cui inizio i miei ultimi due post. La mia vita è  in lotta costante, o almeno, così la percepisco. Lunga vita ai ribelli, ma io mi sto stancando. E qualcuno potrebbe ribadire che è semplicemente la vita ad essere difficile; ho pensato anche a questa ipotesi, poi l'ho scartata, perché sì, è difficile per tutti, e sì è una questione di atteggiamento, ma il combattimento costante no, non lo ritengo normale. Ieri mi sono resa conto che la mia sensazione di alienazione passa anche per un altro aspetto che non avevo ancora considerato: il come mi vesto nell'ultimo periodo. Mi piace molto stare senza social, ma mi sono resa conto che la realtà alienante è quella del lavoro. E non solo perché Marx fin dall'inizio ha sempre detto che il capitalismo aliena l'uomo, o meglio, quella è solo una parte, ovvero il non capire come si possa essere felici da lavoratori dipendenti, passando otto fottutissime ore del prop

Sconfiggere l'alienazione

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 La sensazione a cui non riuscivo a dare un nome, ha trovato il suo spazio e la sua espressione nella parola "Alienazione" - ma lasciatemi spiegare un po' meglio... Ho difeso la mia tesi di dottorato il 28 settembre 2022 -finalmente, dopo lunga e penosa agonia durata ben 4 e passa anni della mia vita. Grande stress e grande nervosismo, un paio di crolli mentali. La difesa è durata 2h30, sono stata torturata da ogni singolo membro della commissione, but I'm still alive , anche se alla fine della difesa e alla proclamazione ho pianto. Piangere è self-care, mi ha detto qualcuno recentemente. Piangere e avere crolli mentali non so quanto sia self-care più che self-distruction. Fatto sta che in seguito a grande stanchezza, grande esaurimento mentale, e grande confusione in ultima analisi, ho notato che qualcosa non andava (ah si?) - sospetto un burnout mai curato a sufficienza, mai recuperato del tutto, e ancora un po' bruciante, soprattutto a causa dei grandi cambia

Dottorato di ricerca per sport

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 Mi sono resa conto che sono molto più brava nei miei compiti secondari in azienda, rispetto alle competenze tecnico-scientifiche che ho. In pratica, sono molto più competente (e mi piace di più) fare il lavoro per cui non ho studiato. E così, lavandomi le mani poco fa, mi sono resa conto che forse un dottorato di ricerca io me solo sono presa unicamente per sport. Uno sport un po' estremo, forse. Cosa significa, quindi, questo titolo? Che ho devoluto anni di sacrificio e cervello a qualcosa che non mi soddisfa appieno. Ma questo è il dark side. Credo, soprattutto, che questi 10 anni passati in università mi abbiano regalato l'opportunità di elevarmi culturalmente, di imparare un metodo, di imparare incondizionatamente, mi hanno insegnato l'amore per la scienza, per il perchè e mi hanno insegnato la fiducia nei dati, nell'analisi, nell'evidenza scientifica. Rettifico; non mi è stato regalato nulla. Ciascuna di queste cose in elenco, me le sono conquistate. Con anni

Sic Transit Gloria Mundi: le tasche piene di traslochi

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[ intro: ho iniziato a scrivere questa bozza il 6/07/2022 alle 9:36 - Un mese dopo ho deciso di riprenderla e ampliarla, perché la mia vita corre veloce, e anche solo nel giro di un mese ho avuto così tanti cambiamenti, che non riesco nemmeno io a tenere il passo - e quindi, questo post sarà lunghissimo, e a flusso di coscienza come al solito, perché proprio così so dare (scrivere) il mio meglio. ] Ciclicamente mi ritrovo a dover riorganizzare la vita. A mettere insieme i pezzi, e a capire dove sono al mondo, dove voglio andare, e perché, ma soprattutto come. Come se fossi in una costante situazione di precarietà che mi costringe a ripensare multiple volte la posizione in cui sono, anche questa volta mi interrogo su come fare meglio, su come cercare quella stabilità che è solo un modo di morire a metà. E così mi lascio andare a flussi di coscienza vari, e in effetti è proprio in mezzo alla confusione che sono più proficua, e scrivo. Come sempre ho mille pensieri e mille progetti sparsi

Non mi basta più

 Associata al mio infortunio, ho la storia della bruciante delusione nei riguardi di un'amicizia che durava da circa 15 anni. Ultimamente, ma in realtà da quasi due mesi, penso a come mi sento al riguardo. Non è né rabbia, né rancore ciò che sento. Solo una bruciante delusione nei confronti di questa persona, che si è rivelata opportunista ai più alti livelli che io abbia mai subito. Va bene così, non mi interessa né vendicarmi, né gettargli merda addosso, né tantomeno raccontare per filo e per segno di come io durante la sua tossicodipendenza gli sia stata vicina con tutta me stessa e le mie possibilità, gli ho dato fiducia, infinite volte, e puntualmente è stata tradita. Ma mentre prima il tradimento della fiducia era attribuito alla sua tossicodipendenza e alle infinite ricadute, adesso non c'è più nemmeno quella possibilità. E quindi niente, rimango così, con un pugno di delusione e disillusione in mano, avendo capito che questa persona è davvero così. E mi avevano avvertit